mercoledì 15 luglio 2009
Idee per la svolta(13:59:00)
Tutti facciamo lo sbaglio di pensare che per svoltare c'è sempre tempo.
In realtà, senza rischiare di sembrare malaugurante, è chiaro che abbiamo un tempo limitato a nostra disposizione. Che potrebbe scadere anche oggi (pausa e tuono in lontananza).
Vi descriverò allora alcune delle idee che nella mia vita mi hanno portato sull'orlo di una svolta, ma che alla fine sono scomparse nel nulla, evaporate, come i sogni la mattina presto appena alzati. Così, a mo' di esempio per le generazioni future e posteriori.
Al mio collega Luca venne un giorno l'idea dei tapis-roulant collegati ad accumulatori. Poi gli spiegammo che nelle palestre i tapis-roulant vengono mossi già dall'energia elettrica. Allora estese l'idea ai tornelli della metropolitana, ai dancefloor delle discoteche, ai carrelli dei supermercati, a qualsiasi cosa spinta o ruotata dalle braccia umane. Ad un certo punto nelle nostre menti cominciò a materializzarsi l'idea di montagne d'energia immagazzinata in quel modo, intere batterie di lampadine alimentate da un criceto che corre all'infinito dentro una gabbia.
Poi abbandonammo l'idea. Troppo sbattimento, troppi mezzi necessari per realizzarla.
Mesi dopo scoprimmo che un'università degli Stati Uniti aveva brevettato il tapis-roulant che accumula energia elettrica (ma non andavano già a corrente?).
(probabilmente il disegno dei tornelli a corrente elettrica sta ancora su qualche lavagna nei meandri del mio ufficio)
Poi venne l'idea dell'identificatore di parcheggi, un sistema complicatissimo di satelliti, sensori, Internet e quant'altro che avrebbe permesso a chiunque di trovare un posto auto in men che non si dica nella città di Roma. Non si riusciva però a mettersi d'accordo sul sensore che avrebbe indicato un posto libero. E se un uccello ci cagava sopra? E se uno vedeva il parcheggio prima di te e ci si fiondava?
Mah. Troppo sbattimento ancora (mi sa che è quello che ci frega).
Allora partorimmo l'idea del sito internet che ti fa smettere di fumare. Come? Semplice: ti iscrivi, ed ogni giorno questo sito ti manda in automatico, sulla casella di posta, immagini di polmoni sezionati, radiografie di tumori, panoramiche su cimiteri irlandesi. Un deterrente unico, non c'è dubbio.
Ma funzionerebbe? Boh. Sì. No.
Ultima idea: il sito web per viaggiare gratis. Una specie di comunità: ognuno mette a disposizione una macchina, un motorino, un tandem, ed indica il percorso. Poi chi ha bisogno si aggrega. Unico dubbio, questa volta: siamo in Italia, ci si potrà fidare?
Ma quest'idea invece naufragò per un motivo più banale: il sito esiste già.
Insomma, peccato. Fino ad ora sto sempre qua a scrivere su un blog invece di andare a lavorare in porsche cayenne.
Ma forse non è quello che m'interessa alla fine.
E poi so che la svolta è sempre là, ad un passo.
Tutti facciamo lo sbaglio di pensare che per svoltare c'è sempre tempo.
In realtà, senza rischiare di sembrare malaugurante, è chiaro che abbiamo un tempo limitato a nostra disposizione. Che potrebbe scadere anche oggi (pausa e tuono in lontananza).
Vi descriverò allora alcune delle idee che nella mia vita mi hanno portato sull'orlo di una svolta, ma che alla fine sono scomparse nel nulla, evaporate, come i sogni la mattina presto appena alzati. Così, a mo' di esempio per le generazioni future e posteriori.
Al mio collega Luca venne un giorno l'idea dei tapis-roulant collegati ad accumulatori. Poi gli spiegammo che nelle palestre i tapis-roulant vengono mossi già dall'energia elettrica. Allora estese l'idea ai tornelli della metropolitana, ai dancefloor delle discoteche, ai carrelli dei supermercati, a qualsiasi cosa spinta o ruotata dalle braccia umane. Ad un certo punto nelle nostre menti cominciò a materializzarsi l'idea di montagne d'energia immagazzinata in quel modo, intere batterie di lampadine alimentate da un criceto che corre all'infinito dentro una gabbia.
Poi abbandonammo l'idea. Troppo sbattimento, troppi mezzi necessari per realizzarla.
Mesi dopo scoprimmo che un'università degli Stati Uniti aveva brevettato il tapis-roulant che accumula energia elettrica (ma non andavano già a corrente?).
(probabilmente il disegno dei tornelli a corrente elettrica sta ancora su qualche lavagna nei meandri del mio ufficio)
Poi venne l'idea dell'identificatore di parcheggi, un sistema complicatissimo di satelliti, sensori, Internet e quant'altro che avrebbe permesso a chiunque di trovare un posto auto in men che non si dica nella città di Roma. Non si riusciva però a mettersi d'accordo sul sensore che avrebbe indicato un posto libero. E se un uccello ci cagava sopra? E se uno vedeva il parcheggio prima di te e ci si fiondava?
Mah. Troppo sbattimento ancora (mi sa che è quello che ci frega).
Allora partorimmo l'idea del sito internet che ti fa smettere di fumare. Come? Semplice: ti iscrivi, ed ogni giorno questo sito ti manda in automatico, sulla casella di posta, immagini di polmoni sezionati, radiografie di tumori, panoramiche su cimiteri irlandesi. Un deterrente unico, non c'è dubbio.
Ma funzionerebbe? Boh. Sì. No.
Ultima idea: il sito web per viaggiare gratis. Una specie di comunità: ognuno mette a disposizione una macchina, un motorino, un tandem, ed indica il percorso. Poi chi ha bisogno si aggrega. Unico dubbio, questa volta: siamo in Italia, ci si potrà fidare?
Ma quest'idea invece naufragò per un motivo più banale: il sito esiste già.
Insomma, peccato. Fino ad ora sto sempre qua a scrivere su un blog invece di andare a lavorare in porsche cayenne.
Ma forse non è quello che m'interessa alla fine.
E poi so che la svolta è sempre là, ad un passo.
martedì 16 giugno 2009
msg in my veins(14:10:00)
mi sveglio alle 5
ma questa è la domanda che mi perseguita:
tbc o tdv?
me la fa la donna dietro allo sportello
l'hostess al telecheck-in
il mio compagno di posto
l'assistente di volo
l'assistente di terra
il factotum dell'aereoporto di milano linate
il tassista che mi porta in giro per soli 50 euro
mia madre
la donna delle pulizie
ma prima della risposta
non so che significhi la domanda
in realtà volevo solo solo un po' di umanità
dal reparto risorse umane
per cui salgo ai piani alti
con un'ascensore che accelera come se fosse dentro l'empire state building
e vedo che da lì il panorama è vario
ci sono solo palazzi e il duomo perso nella nebbia
peccato io non possa rovesciare l'ufficio e far cadere la neve dal basso delle strade
ma in realtà volevo solo un po' d'amore
ed una palla di vetro per turisti con cui giocare
ma forse altri 19 anni non sono poi così tanti
e un bacio ha più sapore dopo tanto tempo
e allora assaggio il caffè
a me fa schifo
ma i miei colleghi dicono che è buono
e non so se quella luce blu in fondo ai loro occhi sia solo un riflesso
o il fatto che, mio dio, anche loro sono condannati
(questo lo pubblichiamo sul blog?)
mi sveglio alle 5
ma questa è la domanda che mi perseguita:
tbc o tdv?
me la fa la donna dietro allo sportello
l'hostess al telecheck-in
il mio compagno di posto
l'assistente di volo
l'assistente di terra
il factotum dell'aereoporto di milano linate
il tassista che mi porta in giro per soli 50 euro
mia madre
la donna delle pulizie
ma prima della risposta
non so che significhi la domanda
in realtà volevo solo solo un po' di umanità
dal reparto risorse umane
per cui salgo ai piani alti
con un'ascensore che accelera come se fosse dentro l'empire state building
e vedo che da lì il panorama è vario
ci sono solo palazzi e il duomo perso nella nebbia
peccato io non possa rovesciare l'ufficio e far cadere la neve dal basso delle strade
ma in realtà volevo solo un po' d'amore
ed una palla di vetro per turisti con cui giocare
ma forse altri 19 anni non sono poi così tanti
e un bacio ha più sapore dopo tanto tempo
e allora assaggio il caffè
a me fa schifo
ma i miei colleghi dicono che è buono
e non so se quella luce blu in fondo ai loro occhi sia solo un riflesso
o il fatto che, mio dio, anche loro sono condannati
(questo lo pubblichiamo sul blog?)
martedì 9 giugno 2009
Per tutti quelli che mi dicono che sono ingrassato:(12:25:00)
ma annatevene un po' affanculo!
ma annatevene un po' affanculo!
venerdì 5 giugno 2009
giornata tipo(15:51:00)
(questo lo pubblichiamo sul blog?)
Da tre giorni mi svegliavo con un mal di gola che mi torceva la periferia dell'anima. E sempre cinque minuti prima della radio. Quand'era iniziato tutto?
Me ne stavo lì, nel letto, sudato, nell'anticamera dei pensieri razionali, chiedendomi se era sabato, e quindi non dovevo andare al lavoro, oppure no, e potevo perciò cominciare a far vagare il cervello sul primo incontro del calendario di outlook.
Era sabato.
La notte precedente avevo sognato di viaggiare su un pullman che andava sempre più forte su una strada costiera piena di curve.
Il pullman era uscito di strada e io continuavo a pensare che l'autista andasse troppo forte.
Qualcosa doveva significare.
Non avevo programmi per la mattinata.
Ho preso le chiavi della macchina e sono andato al supermercato.
Mentre passavo vicino ad un campo di grano con dei tralicci dell'alta tensione qualcosa mi diceva che ci stessero controllando. Tutti. Tramite i tralicci dell'alta tensione. Ci obbligano a crescere, terminare la scuola, andare a lavorare, conoscere qualcuno in una chat, sposarsi, fare dei figli, invecchiare e morire.
Ma chi avrebbe potuto dimostrarlo, del resto quei tralicci sembrano tralicci e basta.
E poi ho preso parte al rimestio collettivo del supermercato.
E' come una danza muta.
Se conosci i passi è facile, altrimenti no.
Qualcuno ci controlla, nei supermercati. E' impossibile che non ci sia nessuno che controlli. Io non li vedo mai. Ma ci sono. Forse ci sono delle telecamere sul soffitto. No, è troppo alto. Devono essere da qualche parte, forse nel cestone delle magliette. Forse sono semplicemente annegate nel bancone dei surgelati.
Forse i laser che leggono i prezzi prendono anche le nostre impronte. E' per questo che ho messo i guanti. Non avranno le mie impronte. O forse le hanno già, dio mio non ricordo.
A quel punto mi è venuto in mente che avevo conosciuto una ragazza in chat la sera prima.
Ripensandoci non ho più capito se mi piacesse veramente o mi facesse ribrezzo, ma continuavo a parlarle perché era tardi e stavo scivolando lentamente nell'anticamera dei pensieri irrazionali. Le ho parlato di cose che non ho mai detto nemmeno a mia madre. Mi ha detto che se ci sposassimo vorrebbe fare dei figli con me.
Poi le ho chiesto di mandarmi una foto; l'ho aperta e c'era lei vicino ad un traliccio e del grano.
Uscendo dal supermercato ho ripensato ad una notte d'estate. Avevo quindici anni, mia cugina uscì dal buio e mi si avvicinò, curvò la testa vicino alla mia guancia e baciò un angolo della mia bocca. Probabilmente ha sussurrato anche qualcosa. Ma ora non so più se fosse vero o se fossero solo ricordi impiantati come quelli dei replicanti di un film.
Vorrei ritrovarla, chiederglielo.
Ma è sposata e aspetta un figlio.
Passo di nuovo con la macchina vicino al campo di grano, e abbasso il finestrino per guardare meglio qualcosa in lontananza. Però scatta il semaforo, ed uno dietro di me suona, allora riparto e la campagna scorre via.
(questo lo pubblichiamo sul blog?)
Da tre giorni mi svegliavo con un mal di gola che mi torceva la periferia dell'anima. E sempre cinque minuti prima della radio. Quand'era iniziato tutto?
Me ne stavo lì, nel letto, sudato, nell'anticamera dei pensieri razionali, chiedendomi se era sabato, e quindi non dovevo andare al lavoro, oppure no, e potevo perciò cominciare a far vagare il cervello sul primo incontro del calendario di outlook.
Era sabato.
La notte precedente avevo sognato di viaggiare su un pullman che andava sempre più forte su una strada costiera piena di curve.
Il pullman era uscito di strada e io continuavo a pensare che l'autista andasse troppo forte.
Qualcosa doveva significare.
Non avevo programmi per la mattinata.
Ho preso le chiavi della macchina e sono andato al supermercato.
Mentre passavo vicino ad un campo di grano con dei tralicci dell'alta tensione qualcosa mi diceva che ci stessero controllando. Tutti. Tramite i tralicci dell'alta tensione. Ci obbligano a crescere, terminare la scuola, andare a lavorare, conoscere qualcuno in una chat, sposarsi, fare dei figli, invecchiare e morire.
Ma chi avrebbe potuto dimostrarlo, del resto quei tralicci sembrano tralicci e basta.
E poi ho preso parte al rimestio collettivo del supermercato.
E' come una danza muta.
Se conosci i passi è facile, altrimenti no.
Qualcuno ci controlla, nei supermercati. E' impossibile che non ci sia nessuno che controlli. Io non li vedo mai. Ma ci sono. Forse ci sono delle telecamere sul soffitto. No, è troppo alto. Devono essere da qualche parte, forse nel cestone delle magliette. Forse sono semplicemente annegate nel bancone dei surgelati.
Forse i laser che leggono i prezzi prendono anche le nostre impronte. E' per questo che ho messo i guanti. Non avranno le mie impronte. O forse le hanno già, dio mio non ricordo.
A quel punto mi è venuto in mente che avevo conosciuto una ragazza in chat la sera prima.
Ripensandoci non ho più capito se mi piacesse veramente o mi facesse ribrezzo, ma continuavo a parlarle perché era tardi e stavo scivolando lentamente nell'anticamera dei pensieri irrazionali. Le ho parlato di cose che non ho mai detto nemmeno a mia madre. Mi ha detto che se ci sposassimo vorrebbe fare dei figli con me.
Poi le ho chiesto di mandarmi una foto; l'ho aperta e c'era lei vicino ad un traliccio e del grano.
Uscendo dal supermercato ho ripensato ad una notte d'estate. Avevo quindici anni, mia cugina uscì dal buio e mi si avvicinò, curvò la testa vicino alla mia guancia e baciò un angolo della mia bocca. Probabilmente ha sussurrato anche qualcosa. Ma ora non so più se fosse vero o se fossero solo ricordi impiantati come quelli dei replicanti di un film.
Vorrei ritrovarla, chiederglielo.
Ma è sposata e aspetta un figlio.
Passo di nuovo con la macchina vicino al campo di grano, e abbasso il finestrino per guardare meglio qualcosa in lontananza. Però scatta il semaforo, ed uno dietro di me suona, allora riparto e la campagna scorre via.
sabato 16 maggio 2009
Memorie di uno scaricatore(01:45:00)
"hail to the thief" è stato il primo disco intero che ho scaricato da internet.
Ricordo che era una versione "beta", una specie di collage di demotape. Secondo me sono stati loro stessi a diffondere questa roba sul web. Oppure no. Forse è stata l'opera di una cellula interna impazzita. Già me li vedo i Radiohead dietro a un vetro, stile poliziesco americano, che interrogano una sfilza di sospetti. Sei stato tu?
Da allora, ogni volta che ho scaricato qualcosa, non provo più alcun senso di vergogna o di colpa. Ma forse le radici di questo vanno cercate in un altro evento. L'ultimo disco che ho comprato era una mezza (ma diciamo anche intera) zozzeria di tali "LCD soundsystem", un gruppo (gruppo?) talmente pompato dalla schiera dei blog "fighi" italiani da farmi entrare nel negozio di dischi convinto di stare per comprare il capolavoro dello scorso e del nuovo millennio.
Invece era una ciofega.
E siccome non si può ri-entrare nel negozio di dischi chiedendo indietro i soldi (almeno credo. si può?), e siccome nemmeno vale la pena andare in Inghilterra, bussare alla porta bianca della casa in stile vittoriano degli LCD soundsystem e chiedere indietro i trenta euro spesi a Roma, da quel giorno penso di aver acquisito la licenza di fregare un po' a ciascun artista.
Gli mp3 sono talmente immateriali.
Ricordo uno spot che recitava "ruberesti mai un'auto? ruberesti mai una borsa?". E poi si vedeva l'adolescente tipo (con tanto di zainetto) che premeva un "Cancel" grosso quanto una casa per fermare il metaforico download di un film.
Ecco, adesso a parte l'immagine totalmente irrealistica della ragazzina che preme il "Cancel" gigantesco, se io rubassi un'auto m'immaginerei il propietario che inferocito m'insegue con un bastone (alle buone). Voi immaginate Britney Spears che vi minaccia con una spranga? Britney Spears ha un contratto miliardario con la Sony o qualcosa di simile. Se io, voi o diecimila miliardi di cinesi scaricano il suo ultimo pezzo da internet secondo me a Britney non gliene può fregà de meno (e la Sony quei due o tre miliardi di dollari glieli darà comunque).
O meglio, se scarico un disco cento volte platino di Michael Jackson, ma che gliene potrà fregare a lui? Vedendolo andare in giro in mascherina suppongo sia preso da problemi più urgenti.
Ma forse sto facendo un discorso troppo superficiale.
Ma sì, se tutti ci mettessimo a scaricare dischi da internet la Sony dovrebbe smettere produrre i Backstreet Boys ed Anastacia.
E dovrebbe liquidare quel grattacielo enorme vicino Central Park.
E noi non vogliamo che ciò accada.
Eh no.
(Radiohead - "2+2=5", "Hail to the thief", 2oo3)
"hail to the thief" è stato il primo disco intero che ho scaricato da internet.
Ricordo che era una versione "beta", una specie di collage di demotape. Secondo me sono stati loro stessi a diffondere questa roba sul web. Oppure no. Forse è stata l'opera di una cellula interna impazzita. Già me li vedo i Radiohead dietro a un vetro, stile poliziesco americano, che interrogano una sfilza di sospetti. Sei stato tu?
Da allora, ogni volta che ho scaricato qualcosa, non provo più alcun senso di vergogna o di colpa. Ma forse le radici di questo vanno cercate in un altro evento. L'ultimo disco che ho comprato era una mezza (ma diciamo anche intera) zozzeria di tali "LCD soundsystem", un gruppo (gruppo?) talmente pompato dalla schiera dei blog "fighi" italiani da farmi entrare nel negozio di dischi convinto di stare per comprare il capolavoro dello scorso e del nuovo millennio.
Invece era una ciofega.
E siccome non si può ri-entrare nel negozio di dischi chiedendo indietro i soldi (almeno credo. si può?), e siccome nemmeno vale la pena andare in Inghilterra, bussare alla porta bianca della casa in stile vittoriano degli LCD soundsystem e chiedere indietro i trenta euro spesi a Roma, da quel giorno penso di aver acquisito la licenza di fregare un po' a ciascun artista.
Gli mp3 sono talmente immateriali.
Ricordo uno spot che recitava "ruberesti mai un'auto? ruberesti mai una borsa?". E poi si vedeva l'adolescente tipo (con tanto di zainetto) che premeva un "Cancel" grosso quanto una casa per fermare il metaforico download di un film.
Ecco, adesso a parte l'immagine totalmente irrealistica della ragazzina che preme il "Cancel" gigantesco, se io rubassi un'auto m'immaginerei il propietario che inferocito m'insegue con un bastone (alle buone). Voi immaginate Britney Spears che vi minaccia con una spranga? Britney Spears ha un contratto miliardario con la Sony o qualcosa di simile. Se io, voi o diecimila miliardi di cinesi scaricano il suo ultimo pezzo da internet secondo me a Britney non gliene può fregà de meno (e la Sony quei due o tre miliardi di dollari glieli darà comunque).
O meglio, se scarico un disco cento volte platino di Michael Jackson, ma che gliene potrà fregare a lui? Vedendolo andare in giro in mascherina suppongo sia preso da problemi più urgenti.
Ma forse sto facendo un discorso troppo superficiale.
Ma sì, se tutti ci mettessimo a scaricare dischi da internet la Sony dovrebbe smettere produrre i Backstreet Boys ed Anastacia.
E dovrebbe liquidare quel grattacielo enorme vicino Central Park.
E noi non vogliamo che ciò accada.
Eh no.
(Radiohead - "2+2=5", "Hail to the thief", 2oo3)
mercoledì 15 aprile 2009
Saviano è un coglione abile agente di marketing(15:40:00)
Gomorra sarebbe anche un buon libro.
Ha un respiro ampio; l'autore passa abilmente da un ritratto o un dettaglio ad una visione organica a volo d'uccello di un microsistema economico. Gomorra è un libro scritto decisamente bene. Alcune parti sono da serie A della letteratura.
Ad esempio questa contiene un elenco pieno di allitterazioni (volute?) quasi di calviniana memoria:
"Le scorie derivanti dalla metallurgia termica dell’alluminio, le pericolose polveri dell’abbattimento fumi, in particolare quelle prodotte dall’industria siderurgica, dalle centrali termoelettriche e dagli inceneritori le morchie di verniciatura, i liquidi reflui contaminati da metalli pesanti, amianto, terre inquinate provenienti da attività di bonifica che vanno ad inquinare altri terreni non contaminati. E ancora rifiuti prodotti da società o impianti pericolosi".
Fantastico. La metallurgia termica dell'alluminio. I liquidi reflui.
I Subsonica con il Devoto-Oli alla mano non saprebbero fare di meglio.
Ma qui finisce l'elogio.
Sospetto tristemente che Saviano sia il più geniale dei pubblicitari dell'ultimo decennio.
Vi spiego perché ho smesso di credere al Saviano-personaggio dalla seconda pagina.
1) Saviano c'era
Dovunque succeda qualcosa di significativo nel trascorrere del libro, Saviano c'è. Dall'ultima scena dove si atteggia a novello Papillon (o Guybrush Threepwood?) galleggiante su di un frigorifero, al Saviano-Rambo con le ginocchia immerse nel fango (e forse la faccia segnata dal grasso).
Al funerale del suo amico, lui c'è (e per forza, è un suo amico). Rigorosamente in vespa.
Quando il boss regala feticci, lui c'è.
Quando un suo compare parte per Aberdeen/Scozia, lui lo segue. Poi non si capisce se ritorni o meno in Italia, ma comunque in Scozia lui c'è.
E nella villa alla Scarface oramai disabitata e spoglia, lui c'è. Ma questa volta sta a bordo vasca; o forse a bordo vasca c'è il Saviano-camorrista, perché il massimo che riesce a fare è pisciarci dentro, trasformandosi in un attimo nell'icona di tutto ciò che durante il libro ha combattuto (?): lo stereotipo del guappo che imita Pulp Fiction e pratica l'economia-guerriglia.
2) Saviano ha fatto i nomi
Sì, ma i nomi che stanno su migliaia di verbali, pagine di giornale, archivi, elenchi, manifesti, volantini, registrazioni, denunce.
Che differenza c'è tra Saviano ed il giornalista che ha fatto il resoconto di mille processi? Nessuna direi. A parte gli intermezzi epici alla Al Pacino.
Il suo prossimo libro ci spiegherà che in Sicilia c'è la mafia. O che la mafia è un po' ovunque. O che la mafia ha fatto ammazzare Falcone e Borsellino. Oppure che Totò Riina era un boss. Sì, proprio Totò Riina. Mio dio, l'ho scritto due volte. Ho fatto i nomi. Avrò bisogno di una scorta adesso?
3) Saviano è il nuovo Rushdie
O forse no. Rushdie ha toccato qualcosa di sacro, qualcosa per cui ci sono miliardi di fanatici nervosetti pronti a scontrarsi con un grattacielo su un aereo pieno d'esplosivo. "I versetti satanici" mette in discussione la base della religione musulmana: il Corano. I versetti satanici del titolo sono stati "censurati" nel Corano che i musulmani conoscono oggi, perché parlavano di altri dei.
Saviano ha creato un brand che ha partorito film, partecipazioni televisive in prima serata, dischi rap. Gomorrap.
Ma soprattutto, Saviano ha scritto Gomorra nel 2006, conscio di un pregresso di sangue per chi, come Rushdie, ha davvero osato, che potete leggere qui.
E pochi mesi fa, scrive:
"Fanculo il successo. Voglio una vita, ecco. Voglio una casa. Voglio innamorarmi, bere una birra in pubblico, andare in libreria e scegliermi un libro leggendo la quarta di copertina. Voglio passeggiare, prendere il sole, camminare sotto la pioggia, incontrare senza paura e senza spaventarla mia madre. Voglio avere intorno i miei amici e poter ridere e non dover parlare di me, sempre di me come se fossi un malato terminale e loro fossero alle prese con una visita noiosa eppure inevitabile. Cazzo, ho soltanto ventotto anni!"
Va bene, Saviano vuole una vita pure lui. Del resto ha ricevuto dei bigliettini anonimi. Delle telefonate mute.
E il pentito ha detto che volevano ucciderlo (ma non si era pentito?).
Vai Saviano. Buona fortuna. Del resto, con 1,8 milioni di copie vendute non te la passerai poi tanto male.
Gomorra sarebbe anche un buon libro.
Ha un respiro ampio; l'autore passa abilmente da un ritratto o un dettaglio ad una visione organica a volo d'uccello di un microsistema economico. Gomorra è un libro scritto decisamente bene. Alcune parti sono da serie A della letteratura.
Ad esempio questa contiene un elenco pieno di allitterazioni (volute?) quasi di calviniana memoria:
"Le scorie derivanti dalla metallurgia termica dell’alluminio, le pericolose polveri dell’abbattimento fumi, in particolare quelle prodotte dall’industria siderurgica, dalle centrali termoelettriche e dagli inceneritori le morchie di verniciatura, i liquidi reflui contaminati da metalli pesanti, amianto, terre inquinate provenienti da attività di bonifica che vanno ad inquinare altri terreni non contaminati. E ancora rifiuti prodotti da società o impianti pericolosi".
Fantastico. La metallurgia termica dell'alluminio. I liquidi reflui.
I Subsonica con il Devoto-Oli alla mano non saprebbero fare di meglio.
Ma qui finisce l'elogio.
Sospetto tristemente che Saviano sia il più geniale dei pubblicitari dell'ultimo decennio.
Vi spiego perché ho smesso di credere al Saviano-personaggio dalla seconda pagina.
1) Saviano c'era
Dovunque succeda qualcosa di significativo nel trascorrere del libro, Saviano c'è. Dall'ultima scena dove si atteggia a novello Papillon (o Guybrush Threepwood?) galleggiante su di un frigorifero, al Saviano-Rambo con le ginocchia immerse nel fango (e forse la faccia segnata dal grasso).
Al funerale del suo amico, lui c'è (e per forza, è un suo amico). Rigorosamente in vespa.
Quando il boss regala feticci, lui c'è.
Quando un suo compare parte per Aberdeen/Scozia, lui lo segue. Poi non si capisce se ritorni o meno in Italia, ma comunque in Scozia lui c'è.
E nella villa alla Scarface oramai disabitata e spoglia, lui c'è. Ma questa volta sta a bordo vasca; o forse a bordo vasca c'è il Saviano-camorrista, perché il massimo che riesce a fare è pisciarci dentro, trasformandosi in un attimo nell'icona di tutto ciò che durante il libro ha combattuto (?): lo stereotipo del guappo che imita Pulp Fiction e pratica l'economia-guerriglia.
2) Saviano ha fatto i nomi
Sì, ma i nomi che stanno su migliaia di verbali, pagine di giornale, archivi, elenchi, manifesti, volantini, registrazioni, denunce.
Che differenza c'è tra Saviano ed il giornalista che ha fatto il resoconto di mille processi? Nessuna direi. A parte gli intermezzi epici alla Al Pacino.
Il suo prossimo libro ci spiegherà che in Sicilia c'è la mafia. O che la mafia è un po' ovunque. O che la mafia ha fatto ammazzare Falcone e Borsellino. Oppure che Totò Riina era un boss. Sì, proprio Totò Riina. Mio dio, l'ho scritto due volte. Ho fatto i nomi. Avrò bisogno di una scorta adesso?
3) Saviano è il nuovo Rushdie
O forse no. Rushdie ha toccato qualcosa di sacro, qualcosa per cui ci sono miliardi di fanatici nervosetti pronti a scontrarsi con un grattacielo su un aereo pieno d'esplosivo. "I versetti satanici" mette in discussione la base della religione musulmana: il Corano. I versetti satanici del titolo sono stati "censurati" nel Corano che i musulmani conoscono oggi, perché parlavano di altri dei.
Saviano ha creato un brand che ha partorito film, partecipazioni televisive in prima serata, dischi rap. Gomorrap.
Ma soprattutto, Saviano ha scritto Gomorra nel 2006, conscio di un pregresso di sangue per chi, come Rushdie, ha davvero osato, che potete leggere qui.
E pochi mesi fa, scrive:
"Fanculo il successo. Voglio una vita, ecco. Voglio una casa. Voglio innamorarmi, bere una birra in pubblico, andare in libreria e scegliermi un libro leggendo la quarta di copertina. Voglio passeggiare, prendere il sole, camminare sotto la pioggia, incontrare senza paura e senza spaventarla mia madre. Voglio avere intorno i miei amici e poter ridere e non dover parlare di me, sempre di me come se fossi un malato terminale e loro fossero alle prese con una visita noiosa eppure inevitabile. Cazzo, ho soltanto ventotto anni!"
Va bene, Saviano vuole una vita pure lui. Del resto ha ricevuto dei bigliettini anonimi. Delle telefonate mute.
E il pentito ha detto che volevano ucciderlo (ma non si era pentito?).
Vai Saviano. Buona fortuna. Del resto, con 1,8 milioni di copie vendute non te la passerai poi tanto male.
martedì 14 aprile 2009
Post scritto con la parte bassa del cervello(14:14:00)
il mio ufficio è bianco, asettico.
le pareti sono bianche, la scrivania bianca. le porte sono trasparenti. le finestre danno su un prato verde, che pare incalpestato da secoli. un orologio sospeso scandisce il tempo con scatti schizoidi. se mi capita di lavorare fino a tardi, scende un silenzio irreale, e ciò che rimane del rumore è l'humming sordo dei pc ancora accesi.
durante il giorno, se mi concentro, penso dopo un minuto di aver trovato un pattern tra i vari click dei mouse, uno schema complicatissimo, come un tempo dispari che gli altri eseguono in sincronia perfetta. ma la sensazione svanisce al primo errore. chissà di chi.
è a quel punto che dei tacchi sul finto parquet (bianco) spezzano la sinfonia stravinskiana.
gli altri s'interrompono. la lancetta dell'orologio esita.
e appare lei. la mia segretaria.
è perfetta, in ogni dettaglio, come una BMW in esposizione al concessionario.
solca lo spazio con un'espressione che non è ne' allegra ne' triste, novella gioconda che fa due passi fuori dalla cornice.
forse soffre. il dolore indefinibile di chi ha raggiunto la perfezione e sa che la perfezione non può essere superata.
al limite eguagliata ogni giorno.
le sue vesti l'avvolgono. il panneggio della dama con l'ermellino al confronto è volgare.
se sono al telefono, mi prende alla sprovvista con un sapiente movimento delle mani, ed aggirandomi, confondendomi, mentre guardo dalla parte opposta posa davanti a me la busta paga, i buoni pasto, una pubblicità della Oracle, il CUD, la nota spese rifiutata o la mia lettera di licenziamento.
è il karate della corrispondenza (sono già al tappeto dopo tre secondi di cronometro).
a quel punto mi fissa e forse fa un sorriso o forse è solo la mia immaginazione o forse pronuncia due sillabe di una lingua aliena. poi si gira su sè stessa. la scena è al rallentatore, o magari sono semplicemente io che non ci sto capendo più un cazzo, la telecamera arretra, e lei scompare dietro l'angolo, in una nuvola d'aria che ritorna al suo posto, presa in contropiede anch'essa.
il ticchettio dei tasti ricomincia.
mi accorgo che la mia bocca è aperta e forse sembro un alce che fissa i fari di una macchina.
dico a me stesso: "resisti".
e, per un attimo, penso di aver visto Dio.
il mio ufficio è bianco, asettico.
le pareti sono bianche, la scrivania bianca. le porte sono trasparenti. le finestre danno su un prato verde, che pare incalpestato da secoli. un orologio sospeso scandisce il tempo con scatti schizoidi. se mi capita di lavorare fino a tardi, scende un silenzio irreale, e ciò che rimane del rumore è l'humming sordo dei pc ancora accesi.
durante il giorno, se mi concentro, penso dopo un minuto di aver trovato un pattern tra i vari click dei mouse, uno schema complicatissimo, come un tempo dispari che gli altri eseguono in sincronia perfetta. ma la sensazione svanisce al primo errore. chissà di chi.
è a quel punto che dei tacchi sul finto parquet (bianco) spezzano la sinfonia stravinskiana.
gli altri s'interrompono. la lancetta dell'orologio esita.
e appare lei. la mia segretaria.
è perfetta, in ogni dettaglio, come una BMW in esposizione al concessionario.
solca lo spazio con un'espressione che non è ne' allegra ne' triste, novella gioconda che fa due passi fuori dalla cornice.
forse soffre. il dolore indefinibile di chi ha raggiunto la perfezione e sa che la perfezione non può essere superata.
al limite eguagliata ogni giorno.
le sue vesti l'avvolgono. il panneggio della dama con l'ermellino al confronto è volgare.
se sono al telefono, mi prende alla sprovvista con un sapiente movimento delle mani, ed aggirandomi, confondendomi, mentre guardo dalla parte opposta posa davanti a me la busta paga, i buoni pasto, una pubblicità della Oracle, il CUD, la nota spese rifiutata o la mia lettera di licenziamento.
è il karate della corrispondenza (sono già al tappeto dopo tre secondi di cronometro).
a quel punto mi fissa e forse fa un sorriso o forse è solo la mia immaginazione o forse pronuncia due sillabe di una lingua aliena. poi si gira su sè stessa. la scena è al rallentatore, o magari sono semplicemente io che non ci sto capendo più un cazzo, la telecamera arretra, e lei scompare dietro l'angolo, in una nuvola d'aria che ritorna al suo posto, presa in contropiede anch'essa.
il ticchettio dei tasti ricomincia.
mi accorgo che la mia bocca è aperta e forse sembro un alce che fissa i fari di una macchina.
dico a me stesso: "resisti".
e, per un attimo, penso di aver visto Dio.
domenica 5 aprile 2009
Scale(15:21:00)
Nella palestra che frequento hanno messo un attrezzo che simula la salita di una scala. Quando guardo la gente che lo usa, penso sempre che stiano pagando dei soldi per salire le scale.
Nella palestra che frequento hanno messo un attrezzo che simula la salita di una scala. Quando guardo la gente che lo usa, penso sempre che stiano pagando dei soldi per salire le scale.
giovedì 26 marzo 2009
modalità alternative d'esistenza(15:32:00)
(da bambino, in un tema sull'unione europea, scrissi che secondo me era una stronzata)
Pensare al passato è la più grande forma di resistenza che esista.
Il passato è conservativo per definizione; quello che è successo, per tragico o esaltante che sia, è successo. Non c'è modo di cambiarlo o opporsi. Al limite puoi rivederlo diecimila volte mandandolo avanti e indietro al ralenti come un videoregistratore. Il passato è una specie di limbo, una sorta di nirvana in cui bearsi, in cui drogare i propri sensi con quello che ormai è scritto.
Per chi abita a Roma, migliaia di forme di passato si articolano intorno a particolari sempre uguali.
Ci sono cose a cui siamo abituati, cose che sono la forma acquisita del nostro DNA, cose che diamo per scontato come l'alzarsi presto la mattina per andare al lavoro.
La gialla fermata di un autobus è arricchita dagli annunci delle case in affitto (per la stragrande maggioranza dedicati esplicitamente a studenti). Uscendo sul balcone, prendiamo per normale l'esistenza di quelle creature dalla natura post-atomica chiamate stendini (e giustamente qualcuno fa notare che nel resto del vecchio continente, non so se sia un vanto o un punto a sfavore, esistono le macchine asciugatrici) (e che durante la brutta stagione, i panni sugli stendini non si asciugano mai).
Ma forse la cosa più sorprendente per chi ci osserva dall'esterno, è sentirsi chiedere in prossimità di ogni fermata degli autobus, se scendiamo alla prossima. Perché con la nostra presenza potremmo inesorabilmente resistere alle persone in fila dietro di noi, e condannarle ad una passeggiata a ritroso non desiderata (o peggio, a vagare senza fine su un autobus in un circolo impazzito).
Eppure, se non ci fosse stato chi me l'ha fatto notare, avrei continuato a rispondere meccanicamente "sì, scendo alla prossima" a qualsiasi domanda sull'argomento (sempre quello).
E a loro volta, chiedere se scendi alla prossima, stendere i panni sullo stendino anche d'inverno, attaccare di soppiatto senza farsi vedere un annuncio (con le immancabili frange di numeri di telefono da staccare) al palo giallo del bus, tutte queste sono piccole forme di resistenza verso un mondo che ci vorrebbe sempre più allineati, razionali e rispettosi della legge, politically correct e globalizzati.
Ma in fondo non abbiamo bisogno degli asciugatori elettrici francesi o svizzeri o olandesi che siano.
Potremmo continuare a credere che domandare "scendi alla prossima" abbia un senso. All'infinito.
(i pensieri di questo post sono totalmente ispirati dalle curve e dalle angolazioni delle foto di un blog geniale, il cui link trovate in alto sulla vostra destra. Non quello. Più in basso. Ecco, quello.)
(da bambino, in un tema sull'unione europea, scrissi che secondo me era una stronzata)
Pensare al passato è la più grande forma di resistenza che esista.
Il passato è conservativo per definizione; quello che è successo, per tragico o esaltante che sia, è successo. Non c'è modo di cambiarlo o opporsi. Al limite puoi rivederlo diecimila volte mandandolo avanti e indietro al ralenti come un videoregistratore. Il passato è una specie di limbo, una sorta di nirvana in cui bearsi, in cui drogare i propri sensi con quello che ormai è scritto.
Per chi abita a Roma, migliaia di forme di passato si articolano intorno a particolari sempre uguali.
Ci sono cose a cui siamo abituati, cose che sono la forma acquisita del nostro DNA, cose che diamo per scontato come l'alzarsi presto la mattina per andare al lavoro.
La gialla fermata di un autobus è arricchita dagli annunci delle case in affitto (per la stragrande maggioranza dedicati esplicitamente a studenti). Uscendo sul balcone, prendiamo per normale l'esistenza di quelle creature dalla natura post-atomica chiamate stendini (e giustamente qualcuno fa notare che nel resto del vecchio continente, non so se sia un vanto o un punto a sfavore, esistono le macchine asciugatrici) (e che durante la brutta stagione, i panni sugli stendini non si asciugano mai).
Ma forse la cosa più sorprendente per chi ci osserva dall'esterno, è sentirsi chiedere in prossimità di ogni fermata degli autobus, se scendiamo alla prossima. Perché con la nostra presenza potremmo inesorabilmente resistere alle persone in fila dietro di noi, e condannarle ad una passeggiata a ritroso non desiderata (o peggio, a vagare senza fine su un autobus in un circolo impazzito).
Eppure, se non ci fosse stato chi me l'ha fatto notare, avrei continuato a rispondere meccanicamente "sì, scendo alla prossima" a qualsiasi domanda sull'argomento (sempre quello).
E a loro volta, chiedere se scendi alla prossima, stendere i panni sullo stendino anche d'inverno, attaccare di soppiatto senza farsi vedere un annuncio (con le immancabili frange di numeri di telefono da staccare) al palo giallo del bus, tutte queste sono piccole forme di resistenza verso un mondo che ci vorrebbe sempre più allineati, razionali e rispettosi della legge, politically correct e globalizzati.
Ma in fondo non abbiamo bisogno degli asciugatori elettrici francesi o svizzeri o olandesi che siano.
Potremmo continuare a credere che domandare "scendi alla prossima" abbia un senso. All'infinito.
(i pensieri di questo post sono totalmente ispirati dalle curve e dalle angolazioni delle foto di un blog geniale, il cui link trovate in alto sulla vostra destra. Non quello. Più in basso. Ecco, quello.)
giovedì 19 marzo 2009
Un mondo perfetto (o quasi)(15:04:00)
Se ha fatto un pezzo in 7/4 Dolcenera, allora può farlo chiunque.
Potrebbe cominciare la casalinga a casa, sbattendo un materasso sette volte con il battipanni.
La seconda strofa potrebbe essere di un fabbro che forgia uno spadone (ma esistono più?) (i fabbri e gli spadoni, intendo).
Potrebbe farlo il postino, suonando sempre sette volte.
Potrebbe farlo un bambino, svegliandosi alle sette di mattina e facendo divorziare i genitori.
Fatelo anche voi a casa, con sette colpi di tosse.
Oppure con cento colpi di spazzola (Melissa P. è sempre fuori luogo).
Ma in fondo che cazzo ne sapete - voi (cit).
Aggiungete una voce roca, qualche altra badword, ripetete cinque o sei volte un ritornello identico a "The show must go on", e siete arrivati: è pronto il vostro pezzo in 7/4 fatto in casa. Come guarnitura, glassate con una eco di Vasco verso la fine ("la nostalgia dei ricordi non conta niente ormai" - ah, dimenticavo, prerequisito: il testo deve esprimere concetti innovativi). Servite freddo, possibilmente non dopo un capolavoro di Gordon Sumner, meglio a fine febbraio in prima serata.
L'unica cosa che mi rimane della canzone di Dolcenera è l'intro, un mix di pianoforte, synth, chitarra, probabilmente frutto dei sogni inquieti di qualche turnista. Che sognava Dolcenera (forse). Ed il naso di Dolcenera. Sì perché mentre cercavo un'immagine per questo post, ho scoperto che Dolcenera ha un naso perfetto. Sicuramente non frutto della chirurgia estetica (forse).
Ma in fondo, io che cazzo ne so (cit).
(Dolcenera - "Com'eri tu", "Un mondo perfetto", 2005)
Se ha fatto un pezzo in 7/4 Dolcenera, allora può farlo chiunque.
Potrebbe cominciare la casalinga a casa, sbattendo un materasso sette volte con il battipanni.
La seconda strofa potrebbe essere di un fabbro che forgia uno spadone (ma esistono più?) (i fabbri e gli spadoni, intendo).
Potrebbe farlo il postino, suonando sempre sette volte.
Potrebbe farlo un bambino, svegliandosi alle sette di mattina e facendo divorziare i genitori.
Fatelo anche voi a casa, con sette colpi di tosse.
Oppure con cento colpi di spazzola (Melissa P. è sempre fuori luogo).
Ma in fondo che cazzo ne sapete - voi (cit).
Aggiungete una voce roca, qualche altra badword, ripetete cinque o sei volte un ritornello identico a "The show must go on", e siete arrivati: è pronto il vostro pezzo in 7/4 fatto in casa. Come guarnitura, glassate con una eco di Vasco verso la fine ("la nostalgia dei ricordi non conta niente ormai" - ah, dimenticavo, prerequisito: il testo deve esprimere concetti innovativi). Servite freddo, possibilmente non dopo un capolavoro di Gordon Sumner, meglio a fine febbraio in prima serata.
L'unica cosa che mi rimane della canzone di Dolcenera è l'intro, un mix di pianoforte, synth, chitarra, probabilmente frutto dei sogni inquieti di qualche turnista. Che sognava Dolcenera (forse). Ed il naso di Dolcenera. Sì perché mentre cercavo un'immagine per questo post, ho scoperto che Dolcenera ha un naso perfetto. Sicuramente non frutto della chirurgia estetica (forse).
Ma in fondo, io che cazzo ne so (cit).
(Dolcenera - "Com'eri tu", "Un mondo perfetto", 2005)
mercoledì 11 marzo 2009
My mistress' eyes (are nothing like the sun)(13:05:00)
(riuscirò a scrivere un titolo in italiano prima o poi?)
Era il 1997, ed andavo (ancora per poco) all'università. Avevo una moto d'epoca (nel senso che era una moto dell'epoca, ovvero del 1990), ed ogni giorno arrivavo baldanzoso fino alla facoltà di Economia, dopodiché rallentavo, frenato dal flusso delle studentesse per la strada, e rischiavo di investirne qualcuna perché distratto dalle stesse (l'effetto veniva amplificato dall'approssimarsi della stagione primaverile/estiva, per ovvi motivi).
Un giorno di questi, alcuni tizi avevano piazzato una serie di bancarelle in prossimità dell'entrata della facoltà. I tizi in questione vendevano dischi.
Mi sono avvicinato ad una delle bancarelle. Uno dei dischi era, nella sua confezione in vinile, nel bianco e nero elegantissimo ed abbagliante della copertina, "Nothing like the sun" di Sting. Questo il dialogo che ne è seguito:
"Quanto vuole per questo disco?"
"20.000 lire"
"Arrivederci."
"No, aspetta, facciamo 15.000"
"Ciao."
"Ma... è Sting!"
Quel disco valeva 15.000 "vecchie lire"? Probabilmente no.
Ma solo perché la musica non ha prezzo.
Ricordo che al tempo ero innamorato (ma innamorato come puoi esserlo a vent'anni, quindi con il decuplo dell'effetto) di una ragazza bionda che seguiva le mie stesse lezioni.
Aveva un volto perfetto, e forse questa era la causa della mia perdizione. O meglio, forse era il primo contatto con la perfezione nell'universo femminile a farmi questo effetto. La perfezione è un po' come il talento, o ce l'hai o non ce l'hai, ma quando ce l'hai, tutti se ne accorgono.
"Straight to my heart", contenuta nel disco di cui sopra, è una canzone magica (o forse "perfetta"?). Se non te lo dicessero, non capiresti mai che è in sette quarti. La perfezione va dalla struttura monumentale ai colpetti di cuica distribuiti qua e la' per tutto il pezzo, dall'ampio eco/riverbero sulla voce di Gordon al sapore tribale di tutto il comparto ritmico, dai raddoppi di batteria al rullante campionato.
Ah, quella ragazza non l'ho vista più, e a distanza di dieci anni, stento a ricordare il suo volto. Ricordo però di aver scritto da qualche parte che assomigliava a Janis Joplin. Ma oggi, ogni volta che vado a vedere una foto di Janis, penso che lei a quella ragazza non assomiglia per niente.
(Sting - "Straight to my heart", "Nothing like the sun", 1987)
(riuscirò a scrivere un titolo in italiano prima o poi?)
Era il 1997, ed andavo (ancora per poco) all'università. Avevo una moto d'epoca (nel senso che era una moto dell'epoca, ovvero del 1990), ed ogni giorno arrivavo baldanzoso fino alla facoltà di Economia, dopodiché rallentavo, frenato dal flusso delle studentesse per la strada, e rischiavo di investirne qualcuna perché distratto dalle stesse (l'effetto veniva amplificato dall'approssimarsi della stagione primaverile/estiva, per ovvi motivi).
Un giorno di questi, alcuni tizi avevano piazzato una serie di bancarelle in prossimità dell'entrata della facoltà. I tizi in questione vendevano dischi.
Mi sono avvicinato ad una delle bancarelle. Uno dei dischi era, nella sua confezione in vinile, nel bianco e nero elegantissimo ed abbagliante della copertina, "Nothing like the sun" di Sting. Questo il dialogo che ne è seguito:
"Quanto vuole per questo disco?"
"20.000 lire"
"Arrivederci."
"No, aspetta, facciamo 15.000"
"Ciao."
"Ma... è Sting!"
Quel disco valeva 15.000 "vecchie lire"? Probabilmente no.
Ma solo perché la musica non ha prezzo.
Ricordo che al tempo ero innamorato (ma innamorato come puoi esserlo a vent'anni, quindi con il decuplo dell'effetto) di una ragazza bionda che seguiva le mie stesse lezioni.
Aveva un volto perfetto, e forse questa era la causa della mia perdizione. O meglio, forse era il primo contatto con la perfezione nell'universo femminile a farmi questo effetto. La perfezione è un po' come il talento, o ce l'hai o non ce l'hai, ma quando ce l'hai, tutti se ne accorgono.
"Straight to my heart", contenuta nel disco di cui sopra, è una canzone magica (o forse "perfetta"?). Se non te lo dicessero, non capiresti mai che è in sette quarti. La perfezione va dalla struttura monumentale ai colpetti di cuica distribuiti qua e la' per tutto il pezzo, dall'ampio eco/riverbero sulla voce di Gordon al sapore tribale di tutto il comparto ritmico, dai raddoppi di batteria al rullante campionato.
Ah, quella ragazza non l'ho vista più, e a distanza di dieci anni, stento a ricordare il suo volto. Ricordo però di aver scritto da qualche parte che assomigliava a Janis Joplin. Ma oggi, ogni volta che vado a vedere una foto di Janis, penso che lei a quella ragazza non assomiglia per niente.
(Sting - "Straight to my heart", "Nothing like the sun", 1987)
domenica 8 marzo 2009
The end is the beginning is the end(09:20:00)
Questo blog ricomincia da dove era terminato il precedente, ovvero da un giorno di Natale di pura ribellione verso le convenzioni (esiste un giorno migliore del 25 dicembre per ribellarsi? primavera di Praga anyone?). Solo che i quarti sono diventati i sette del titolo invece che cinque.
Avete mai l'impressione che vi stèssero rubando il tempo, come dice Vasco? Pensate mai che la vostra vita, andare a scuola, laurearvi, cercare un lavoro, crescere, mettere su una famiglia, fare due figli, vederli andare a scuola, crescere, laurearsi eccetera non sia altro che un ciclo infinito? Avete appena fatto uno scontro con la macchina e due giorni dopo leggete che sulla strada che stavate percorrendo c'è la più alta percentuale di incidenti e quindi in pratica la vostra vita non è altro che un'equazione dove le incognite sono pari a quelle di una statistica che qualcuno ha già calcolato (pant, la domanda più lunga del secolo)?
Avete cinquant'anni e pensate di aver buttato la vostra esistenza e vorreste ritornare indietro? Bene, non è possibile.
L'unica cosa possibile è resistere, resistere, resistere.
Breve lezione di teoria musicale per chi ne è a digiuno: un pezzo in sette quarti è un brano che in una o più parti è impossibile da seguire con il piede (o forse è possibile, ma allora sapete già cos'è un ritmo in sette quarti).
Questa è la ribellione sotto forma di musica.
La macarena, il meneito, la salsa, la lambada (faccio un lungo elenco di balli latinoamericani perché sembra facciano impennare il numero di visite al blog; un ballo per trovarli, un ballo per ghermirli e nel buio incatenarli, eccetera), dicevo, tutta questa spazzatura è roba che da sabato prossimo in poi snobberete altamente, mettendovi a ballare in maniera trascinante un ritmo dispari che nel frattempo avete imparato.
Ma allora, perché affidare l'incipit di questo manifesto alla lotta ad un pezzo truzzo e caciarone come "Flathead" dei tizi di cui sopra? Perché è divertente. Perché c'è un ritornello che possono cantare tutti (parappàpparararara, sette quarti baby). Perché alla fin fine, ci piacerebbe essere dei moderni che guevara, ma del Che abbiamo solo la maglietta, ed al supermercato, dio bono, dobbiamo andarci tutti, altrimenti il frigo resterà vuoto e la pancia idem.
(The Fratellis - "Flathead", "Costello Music", 2007)
Questo blog ricomincia da dove era terminato il precedente, ovvero da un giorno di Natale di pura ribellione verso le convenzioni (esiste un giorno migliore del 25 dicembre per ribellarsi? primavera di Praga anyone?). Solo che i quarti sono diventati i sette del titolo invece che cinque.
Avete mai l'impressione che vi stèssero rubando il tempo, come dice Vasco? Pensate mai che la vostra vita, andare a scuola, laurearvi, cercare un lavoro, crescere, mettere su una famiglia, fare due figli, vederli andare a scuola, crescere, laurearsi eccetera non sia altro che un ciclo infinito? Avete appena fatto uno scontro con la macchina e due giorni dopo leggete che sulla strada che stavate percorrendo c'è la più alta percentuale di incidenti e quindi in pratica la vostra vita non è altro che un'equazione dove le incognite sono pari a quelle di una statistica che qualcuno ha già calcolato (pant, la domanda più lunga del secolo)?
Avete cinquant'anni e pensate di aver buttato la vostra esistenza e vorreste ritornare indietro? Bene, non è possibile.
L'unica cosa possibile è resistere, resistere, resistere.
Breve lezione di teoria musicale per chi ne è a digiuno: un pezzo in sette quarti è un brano che in una o più parti è impossibile da seguire con il piede (o forse è possibile, ma allora sapete già cos'è un ritmo in sette quarti).
Questa è la ribellione sotto forma di musica.
La macarena, il meneito, la salsa, la lambada (faccio un lungo elenco di balli latinoamericani perché sembra facciano impennare il numero di visite al blog; un ballo per trovarli, un ballo per ghermirli e nel buio incatenarli, eccetera), dicevo, tutta questa spazzatura è roba che da sabato prossimo in poi snobberete altamente, mettendovi a ballare in maniera trascinante un ritmo dispari che nel frattempo avete imparato.
Ma allora, perché affidare l'incipit di questo manifesto alla lotta ad un pezzo truzzo e caciarone come "Flathead" dei tizi di cui sopra? Perché è divertente. Perché c'è un ritornello che possono cantare tutti (parappàpparararara, sette quarti baby). Perché alla fin fine, ci piacerebbe essere dei moderni che guevara, ma del Che abbiamo solo la maglietta, ed al supermercato, dio bono, dobbiamo andarci tutti, altrimenti il frigo resterà vuoto e la pancia idem.
(The Fratellis - "Flathead", "Costello Music", 2007)
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