giovedì 26 marzo 2009

modalità alternative d'esistenza(15:32:00)



(da bambino, in un tema sull'unione europea, scrissi che secondo me era una stronzata)

Pensare al passato è la più grande forma di resistenza che esista.

Il passato è conservativo per definizione; quello che è successo, per tragico o esaltante che sia, è successo. Non c'è modo di cambiarlo o opporsi. Al limite puoi rivederlo diecimila volte mandandolo avanti e indietro al ralenti come un videoregistratore. Il passato è una specie di limbo, una sorta di nirvana in cui bearsi, in cui drogare i propri sensi con quello che ormai è scritto.

Per chi abita a Roma, migliaia di forme di passato si articolano intorno a particolari sempre uguali.

Ci sono cose a cui siamo abituati, cose che sono la forma acquisita del nostro DNA, cose che diamo per scontato come l'alzarsi presto la mattina per andare al lavoro.

La gialla fermata di un autobus è arricchita dagli annunci delle case in affitto (per la stragrande maggioranza dedicati esplicitamente a studenti). Uscendo sul balcone, prendiamo per normale l'esistenza di quelle creature dalla natura post-atomica chiamate stendini (e giustamente qualcuno fa notare che nel resto del vecchio continente, non so se sia un vanto o un punto a sfavore, esistono le macchine asciugatrici) (e che durante la brutta stagione, i panni sugli stendini non si asciugano mai).

Ma forse la cosa più sorprendente per chi ci osserva dall'esterno, è sentirsi chiedere in prossimità di ogni fermata degli autobus, se scendiamo alla prossima. Perché con la nostra presenza potremmo inesorabilmente resistere alle persone in fila dietro di noi, e condannarle ad una passeggiata a ritroso non desiderata (o peggio, a vagare senza fine su un autobus in un circolo impazzito).
Eppure, se non ci fosse stato chi me l'ha fatto notare, avrei continuato a rispondere meccanicamente "sì, scendo alla prossima" a qualsiasi domanda sull'argomento (sempre quello).

E a loro volta, chiedere se scendi alla prossima, stendere i panni sullo stendino anche d'inverno, attaccare di soppiatto senza farsi vedere un annuncio (con le immancabili frange di numeri di telefono da staccare) al palo giallo del bus, tutte queste sono piccole forme di resistenza verso un mondo che ci vorrebbe sempre più allineati, razionali e rispettosi della legge, politically correct e globalizzati.

Ma in fondo non abbiamo bisogno degli asciugatori elettrici francesi o svizzeri o olandesi che siano.

Potremmo continuare a credere che domandare "scendi alla prossima" abbia un senso. All'infinito.

(i pensieri di questo post sono totalmente ispirati dalle curve e dalle angolazioni delle foto di un blog geniale, il cui link trovate in alto sulla vostra destra. Non quello. Più in basso. Ecco, quello.)


giovedì 19 marzo 2009

Un mondo perfetto (o quasi)(15:04:00)



Se ha fatto un pezzo in 7/4 Dolcenera, allora può farlo chiunque.

Potrebbe cominciare la casalinga a casa, sbattendo un materasso sette volte con il battipanni.
La seconda strofa potrebbe essere di un fabbro che forgia uno spadone (ma esistono più?) (i fabbri e gli spadoni, intendo).
Potrebbe farlo il postino, suonando sempre sette volte.
Potrebbe farlo un bambino, svegliandosi alle sette di mattina e facendo divorziare i genitori.
Fatelo anche voi a casa, con sette colpi di tosse.
Oppure con cento colpi di spazzola (Melissa P. è sempre fuori luogo).

Ma in fondo che cazzo ne sapete - voi (cit).

Aggiungete una voce roca, qualche altra badword, ripetete cinque o sei volte un ritornello identico a "The show must go on", e siete arrivati: è pronto il vostro pezzo in 7/4 fatto in casa. Come guarnitura, glassate con una eco di Vasco verso la fine ("la nostalgia dei ricordi non conta niente ormai" - ah, dimenticavo, prerequisito: il testo deve esprimere concetti innovativi). Servite freddo, possibilmente non dopo un capolavoro di Gordon Sumner, meglio a fine febbraio in prima serata.

L'unica cosa che mi rimane della canzone di Dolcenera è l'intro, un mix di pianoforte, synth, chitarra, probabilmente frutto dei sogni inquieti di qualche turnista. Che sognava Dolcenera (forse). Ed il naso di Dolcenera. Sì perché mentre cercavo un'immagine per questo post, ho scoperto che Dolcenera ha un naso perfetto. Sicuramente non frutto della chirurgia estetica (forse).

Ma in fondo, io che cazzo ne so (cit).









(Dolcenera - "Com'eri tu", "Un mondo perfetto", 2005)


mercoledì 11 marzo 2009

My mistress' eyes (are nothing like the sun)(13:05:00)

(riuscirò a scrivere un titolo in italiano prima o poi?)



Era il 1997, ed andavo (ancora per poco) all'università. Avevo una moto d'epoca (nel senso che era una moto dell'epoca, ovvero del 1990), ed ogni giorno arrivavo baldanzoso fino alla facoltà di Economia, dopodiché rallentavo, frenato dal flusso delle studentesse per la strada, e rischiavo di investirne qualcuna perché distratto dalle stesse (l'effetto veniva amplificato dall'approssimarsi della stagione primaverile/estiva, per ovvi motivi).

Un giorno di questi, alcuni tizi avevano piazzato una serie di bancarelle in prossimità dell'entrata della facoltà. I tizi in questione vendevano dischi.
Mi sono avvicinato ad una delle bancarelle. Uno dei dischi era, nella sua confezione in vinile, nel bianco e nero elegantissimo ed abbagliante della copertina, "Nothing like the sun" di Sting. Questo il dialogo che ne è seguito:

"Quanto vuole per questo disco?"
"20.000 lire"
"Arrivederci."
"No, aspetta, facciamo 15.000"
"Ciao."
"Ma... è Sting!"

Quel disco valeva 15.000 "vecchie lire"? Probabilmente no.
Ma solo perché la musica non ha prezzo.

Ricordo che al tempo ero innamorato (ma innamorato come puoi esserlo a vent'anni, quindi con il decuplo dell'effetto) di una ragazza bionda che seguiva le mie stesse lezioni.
Aveva un volto perfetto, e forse questa era la causa della mia perdizione. O meglio, forse era il primo contatto con la perfezione nell'universo femminile a farmi questo effetto. La perfezione è un po' come il talento, o ce l'hai o non ce l'hai, ma quando ce l'hai, tutti se ne accorgono.

"Straight to my heart", contenuta nel disco di cui sopra, è una canzone magica (o forse "perfetta"?). Se non te lo dicessero, non capiresti mai che è in sette quarti. La perfezione va dalla struttura monumentale ai colpetti di cuica distribuiti qua e la' per tutto il pezzo, dall'ampio eco/riverbero sulla voce di Gordon al sapore tribale di tutto il comparto ritmico, dai raddoppi di batteria al rullante campionato.

Ah, quella ragazza non l'ho vista più, e a distanza di dieci anni, stento a ricordare il suo volto. Ricordo però di aver scritto da qualche parte che assomigliava a Janis Joplin. Ma oggi, ogni volta che vado a vedere una foto di Janis, penso che lei a quella ragazza non assomiglia per niente.









(Sting - "Straight to my heart", "Nothing like the sun", 1987)


domenica 8 marzo 2009

The end is the beginning is the end(09:20:00)



Questo blog ricomincia da dove era terminato il precedente, ovvero da un giorno di Natale di pura ribellione verso le convenzioni (esiste un giorno migliore del 25 dicembre per ribellarsi? primavera di Praga anyone?). Solo che i quarti sono diventati i sette del titolo invece che cinque.

Avete mai l'impressione che vi stèssero rubando il tempo, come dice Vasco? Pensate mai che la vostra vita, andare a scuola, laurearvi, cercare un lavoro, crescere, mettere su una famiglia, fare due figli, vederli andare a scuola, crescere, laurearsi eccetera non sia altro che un ciclo infinito? Avete appena fatto uno scontro con la macchina e due giorni dopo leggete che sulla strada che stavate percorrendo c'è la più alta percentuale di incidenti e quindi in pratica la vostra vita non è altro che un'equazione dove le incognite sono pari a quelle di una statistica che qualcuno ha già calcolato (pant, la domanda più lunga del secolo)?

Avete cinquant'anni e pensate di aver buttato la vostra esistenza e vorreste ritornare indietro? Bene, non è possibile.

L'unica cosa possibile è resistere, resistere, resistere.

Breve lezione di teoria musicale per chi ne è a digiuno: un pezzo in sette quarti è un brano che in una o più parti è impossibile da seguire con il piede (o forse è possibile, ma allora sapete già cos'è un ritmo in sette quarti).

Questa è la ribellione sotto forma di musica.
La macarena, il meneito, la salsa, la lambada (faccio un lungo elenco di balli latinoamericani perché sembra facciano impennare il numero di visite al blog; un ballo per trovarli, un ballo per ghermirli e nel buio incatenarli, eccetera), dicevo, tutta questa spazzatura è roba che da sabato prossimo in poi snobberete altamente, mettendovi a ballare in maniera trascinante un ritmo dispari che nel frattempo avete imparato.

Ma allora, perché affidare l'incipit di questo manifesto alla lotta ad un pezzo truzzo e caciarone come "Flathead" dei tizi di cui sopra? Perché è divertente. Perché c'è un ritornello che possono cantare tutti (parappàpparararara, sette quarti baby). Perché alla fin fine, ci piacerebbe essere dei moderni che guevara, ma del Che abbiamo solo la maglietta, ed al supermercato, dio bono, dobbiamo andarci tutti, altrimenti il frigo resterà vuoto e la pancia idem.









(The Fratellis - "Flathead", "Costello Music", 2007)


Vado?(08:41:00)

Vai.