giovedì 31 marzo 2011
memoria di una caduta(10:51:00)
Non vi capita mai di aver bisogno per forza di fare qualcosa?
No, I'm not talking about sex.
Avevo 20 anni circa, mi trovavo per lavoro nella misconosciuta (o conosciutissima, dipende dai punti di vista) Winnersh, London, con talmente tanta voglia di spaccare il mondo che, se mi guardo indietro adesso, mi chiedo se fossi realmente io quella persona.
Ma sì, ero io.
Dovete sapere che a Londra esiste (o esisteva, dipende dai punti di vista), un'enorme arcade, dove, tra le altre cose, è installata una particolare giostra. In pratica, le persone montano su un sedile a forma di divano a due piazze, vengono legate ben bene con delle cinture di sicurezza, ed il divano incomincia a salire. Un piano, due piani, arriva fino in cima al palazzo. Dopodiché si ferma e, passato l'eterno attimo di suspense, i freni si sbloccano ed il divano precipita in caduta libera (poi ovviamente frena).
Una delle soleggiate (dipende dai punti di vista) domeniche di noia in Inghilterra, venni a sapere che l'allora mio capo aveva, sprezzante della paura, fatto un giro su questa giostra. Io odiavo il mio capo di allora, era uno stronzo. Ma chi non odia il proprio capo, in fondo in fondo.
Non potevo essere da meno. Mai.
Detto ciò, in uno di questi sunday afternoon, presi dalla stazione il treno per Londra centrale. Ricordo ancora il tiepido sapore dei raggi di sole dal finestrino ed i tre tipi a fianco a me che si divertivano bellamente.
Sono sceso nella escheriana stazione centrale. A vent'anni Londra mi sembrava avanti di un secolo rispetto a noi. Adesso probabilmente sarà avanti solo di settant'anni.
Ho fatto quattro passi per le enormi vie centrali, senza mai perdere la strada (non so, forse avevo un GPS in testa, a vent'anni) e sono entrato nella galleria.
Sono salito sul divano. Ricordo che a fianco a me c'era una coppia di Inglesi dal sorriso isterico. Uno dei custodi della giostra mi ha chiesto se fossi tedesco. Il divano ha cominciato a salire, salire. La mia vita mi passava davanti (no, non è vero, questa è una cazzata che dicono nei film, ma ci stava bene). Alla fine, il rumore del freno ed il secondo più lungo della storia.
E poi giù.
A volte mi capita di aver bisogno di fare qualcosa.
Non vi capita mai di aver bisogno per forza di fare qualcosa?
No, I'm not talking about sex.
Avevo 20 anni circa, mi trovavo per lavoro nella misconosciuta (o conosciutissima, dipende dai punti di vista) Winnersh, London, con talmente tanta voglia di spaccare il mondo che, se mi guardo indietro adesso, mi chiedo se fossi realmente io quella persona.
Ma sì, ero io.
Dovete sapere che a Londra esiste (o esisteva, dipende dai punti di vista), un'enorme arcade, dove, tra le altre cose, è installata una particolare giostra. In pratica, le persone montano su un sedile a forma di divano a due piazze, vengono legate ben bene con delle cinture di sicurezza, ed il divano incomincia a salire. Un piano, due piani, arriva fino in cima al palazzo. Dopodiché si ferma e, passato l'eterno attimo di suspense, i freni si sbloccano ed il divano precipita in caduta libera (poi ovviamente frena).
Una delle soleggiate (dipende dai punti di vista) domeniche di noia in Inghilterra, venni a sapere che l'allora mio capo aveva, sprezzante della paura, fatto un giro su questa giostra. Io odiavo il mio capo di allora, era uno stronzo. Ma chi non odia il proprio capo, in fondo in fondo.
Non potevo essere da meno. Mai.
Detto ciò, in uno di questi sunday afternoon, presi dalla stazione il treno per Londra centrale. Ricordo ancora il tiepido sapore dei raggi di sole dal finestrino ed i tre tipi a fianco a me che si divertivano bellamente.
Sono sceso nella escheriana stazione centrale. A vent'anni Londra mi sembrava avanti di un secolo rispetto a noi. Adesso probabilmente sarà avanti solo di settant'anni.
Ho fatto quattro passi per le enormi vie centrali, senza mai perdere la strada (non so, forse avevo un GPS in testa, a vent'anni) e sono entrato nella galleria.
Sono salito sul divano. Ricordo che a fianco a me c'era una coppia di Inglesi dal sorriso isterico. Uno dei custodi della giostra mi ha chiesto se fossi tedesco. Il divano ha cominciato a salire, salire. La mia vita mi passava davanti (no, non è vero, questa è una cazzata che dicono nei film, ma ci stava bene). Alla fine, il rumore del freno ed il secondo più lungo della storia.
E poi giù.
A volte mi capita di aver bisogno di fare qualcosa.
martedì 19 ottobre 2010
Lo zoo di roma(11:40:00)
Spinto da volontà altrui, in quanto assolutamente non bisognoso di sostenere con 12 euro e cinquanta centesimi la causa di chi offre un rifugio non voluto a diverse specie del regno animale, sono andato in visita al 'bioparco'.
l'ultima volta che ci andai si chiamava ancora zoo. poi venne chiuso, e riaperto qualche tempo dopo. ma con un'importante differenza: la denominazione era cambiata in un termine ben più scientifico. le gabbie, gli animali dentro di esse e la tristezza erano rimasti uguali.
il bioparco è il posto dove normalmente si portano i bambini, a vedere i leoni, le tigri, i cammelli. ed i bambini si divertono, scappano spaventati davanti alle tigri, tirano i sassi ai dromedari e fanno domande sull'identità sessuale delle scimmie. forse il bioparco sarebbe invece il posto adatto per capire un po' meglio cos'è la libertà. ma spiegalo ad un bambino.
i biologi potranno venire a farmi centomila esempi su come l'ambiente naturale di questi animali venga fedelmente riprodotto, sull'alimentazione equilibrata con cui vengono nutriti e sul fatto che qui sono al riparo da predatori e ricconi in ville extralusso. si fottano i biologi.
Lo sguardo degli scimpanzè dietro i vetri, nella penombra, mi ha sconvolto.
La tigre, sempre più rincoglionita, percorre con insistenza migliaia di volte lo stesso circolo nei quattro metri quadri che ha a disposizione.
Gli ospiti del rettilario giacciono stanchi distesi per terra.
Ogni animale sembra avere nel volto l'espressione di chi si è arreso, ed attende solo che arrivi la fine, della giornata, del mese, del mondo.
E alla fine della visita, mentre alcuni solerti steward ci scortavano verso l'uscita, ho pensato che forse, a bioparco chiuso gli animali sarebbero stati finalmente liberi dal casino e dai flash dei turisti.
Almeno quello.
Spinto da volontà altrui, in quanto assolutamente non bisognoso di sostenere con 12 euro e cinquanta centesimi la causa di chi offre un rifugio non voluto a diverse specie del regno animale, sono andato in visita al 'bioparco'.
l'ultima volta che ci andai si chiamava ancora zoo. poi venne chiuso, e riaperto qualche tempo dopo. ma con un'importante differenza: la denominazione era cambiata in un termine ben più scientifico. le gabbie, gli animali dentro di esse e la tristezza erano rimasti uguali.
il bioparco è il posto dove normalmente si portano i bambini, a vedere i leoni, le tigri, i cammelli. ed i bambini si divertono, scappano spaventati davanti alle tigri, tirano i sassi ai dromedari e fanno domande sull'identità sessuale delle scimmie. forse il bioparco sarebbe invece il posto adatto per capire un po' meglio cos'è la libertà. ma spiegalo ad un bambino.
i biologi potranno venire a farmi centomila esempi su come l'ambiente naturale di questi animali venga fedelmente riprodotto, sull'alimentazione equilibrata con cui vengono nutriti e sul fatto che qui sono al riparo da predatori e ricconi in ville extralusso. si fottano i biologi.
Lo sguardo degli scimpanzè dietro i vetri, nella penombra, mi ha sconvolto.
La tigre, sempre più rincoglionita, percorre con insistenza migliaia di volte lo stesso circolo nei quattro metri quadri che ha a disposizione.
Gli ospiti del rettilario giacciono stanchi distesi per terra.
Ogni animale sembra avere nel volto l'espressione di chi si è arreso, ed attende solo che arrivi la fine, della giornata, del mese, del mondo.
E alla fine della visita, mentre alcuni solerti steward ci scortavano verso l'uscita, ho pensato che forse, a bioparco chiuso gli animali sarebbero stati finalmente liberi dal casino e dai flash dei turisti.
Almeno quello.
domenica 11 luglio 2010
è questo che vuoi(05:10:00)
Vuoi aspettare nove ore in sala parto, sudato, alla trentesima sigaretta entrare vedere tua moglie che grida di dolore su un letto bianco in mezzo a sei medici, tenerle la mano, svenire dopo due minuti, risvegliarti con qualcuno che ti porge un coso infagottato che urla, dire "che bello", cercare di calmarlo, passarlo a tua moglie esausta dopo trenta secondi, andare nel corridoio e fumare altre trenta sigarette, andare a casa, svegliarti ogni notte tre volte sempre a orari diversi, vendere la casa e cercarne un'altra ma il prezzo più basso sembra sia quello di una vincita al superenalotto, scattargli un milione di foto e nessuna è a fuoco, andare al supermercato per rilassarti, andare al lavoro alle due di notte perché a casa potresti esplodere, esaltarti perché senti che pronuncia due monosillabi di fila, imparare a parlare solo di quello, rinunciare ad andare al concerto perché devi preparare gli omogeneizzati, rinunciare alla partita perché devi cambiare i pannolini, rinunciare alle vacanze perché il sole gli fa male alla pelle, accompagnarlo a scuola il primo giorno e pensare "mio dio è passato tutto questo tempo?", vederlo tornare a casa con un occhio nero, fare altre mille foto il giorno del suo compleanno, e tutte ancora sfocate, andare a parlare con la maestra, sapere che è stato sospeso perché si stava fumando uno spinello nel bagno della scuola, spendere ventimila euro per una macchina che tre giorni dopo sfascerà contro un palo, accompagnarlo all'università e scoprire che dopo tre anni ha dato solo un esame (quello d'Inglese), non sentirlo per due anni e poi sapere da un telegramma che si sposa a las vegas con una ex spogliarellista, andare al matrimonio spendendo il tuo stipendio in un volo diretto, e infine vedere che lei aspetta un figlio.
è questo che vuoi?
Vuoi aspettare nove ore in sala parto, sudato, alla trentesima sigaretta entrare vedere tua moglie che grida di dolore su un letto bianco in mezzo a sei medici, tenerle la mano, svenire dopo due minuti, risvegliarti con qualcuno che ti porge un coso infagottato che urla, dire "che bello", cercare di calmarlo, passarlo a tua moglie esausta dopo trenta secondi, andare nel corridoio e fumare altre trenta sigarette, andare a casa, svegliarti ogni notte tre volte sempre a orari diversi, vendere la casa e cercarne un'altra ma il prezzo più basso sembra sia quello di una vincita al superenalotto, scattargli un milione di foto e nessuna è a fuoco, andare al supermercato per rilassarti, andare al lavoro alle due di notte perché a casa potresti esplodere, esaltarti perché senti che pronuncia due monosillabi di fila, imparare a parlare solo di quello, rinunciare ad andare al concerto perché devi preparare gli omogeneizzati, rinunciare alla partita perché devi cambiare i pannolini, rinunciare alle vacanze perché il sole gli fa male alla pelle, accompagnarlo a scuola il primo giorno e pensare "mio dio è passato tutto questo tempo?", vederlo tornare a casa con un occhio nero, fare altre mille foto il giorno del suo compleanno, e tutte ancora sfocate, andare a parlare con la maestra, sapere che è stato sospeso perché si stava fumando uno spinello nel bagno della scuola, spendere ventimila euro per una macchina che tre giorni dopo sfascerà contro un palo, accompagnarlo all'università e scoprire che dopo tre anni ha dato solo un esame (quello d'Inglese), non sentirlo per due anni e poi sapere da un telegramma che si sposa a las vegas con una ex spogliarellista, andare al matrimonio spendendo il tuo stipendio in un volo diretto, e infine vedere che lei aspetta un figlio.
è questo che vuoi?
mercoledì 15 luglio 2009
Idee per la svolta(13:59:00)
Tutti facciamo lo sbaglio di pensare che per svoltare c'è sempre tempo.
In realtà, senza rischiare di sembrare malaugurante, è chiaro che abbiamo un tempo limitato a nostra disposizione. Che potrebbe scadere anche oggi (pausa e tuono in lontananza).
Vi descriverò allora alcune delle idee che nella mia vita mi hanno portato sull'orlo di una svolta, ma che alla fine sono scomparse nel nulla, evaporate, come i sogni la mattina presto appena alzati. Così, a mo' di esempio per le generazioni future e posteriori.
Al mio collega Luca venne un giorno l'idea dei tapis-roulant collegati ad accumulatori. Poi gli spiegammo che nelle palestre i tapis-roulant vengono mossi già dall'energia elettrica. Allora estese l'idea ai tornelli della metropolitana, ai dancefloor delle discoteche, ai carrelli dei supermercati, a qualsiasi cosa spinta o ruotata dalle braccia umane. Ad un certo punto nelle nostre menti cominciò a materializzarsi l'idea di montagne d'energia immagazzinata in quel modo, intere batterie di lampadine alimentate da un criceto che corre all'infinito dentro una gabbia.
Poi abbandonammo l'idea. Troppo sbattimento, troppi mezzi necessari per realizzarla.
Mesi dopo scoprimmo che un'università degli Stati Uniti aveva brevettato il tapis-roulant che accumula energia elettrica (ma non andavano già a corrente?).
(probabilmente il disegno dei tornelli a corrente elettrica sta ancora su qualche lavagna nei meandri del mio ufficio)
Poi venne l'idea dell'identificatore di parcheggi, un sistema complicatissimo di satelliti, sensori, Internet e quant'altro che avrebbe permesso a chiunque di trovare un posto auto in men che non si dica nella città di Roma. Non si riusciva però a mettersi d'accordo sul sensore che avrebbe indicato un posto libero. E se un uccello ci cagava sopra? E se uno vedeva il parcheggio prima di te e ci si fiondava?
Mah. Troppo sbattimento ancora (mi sa che è quello che ci frega).
Allora partorimmo l'idea del sito internet che ti fa smettere di fumare. Come? Semplice: ti iscrivi, ed ogni giorno questo sito ti manda in automatico, sulla casella di posta, immagini di polmoni sezionati, radiografie di tumori, panoramiche su cimiteri irlandesi. Un deterrente unico, non c'è dubbio.
Ma funzionerebbe? Boh. Sì. No.
Ultima idea: il sito web per viaggiare gratis. Una specie di comunità: ognuno mette a disposizione una macchina, un motorino, un tandem, ed indica il percorso. Poi chi ha bisogno si aggrega. Unico dubbio, questa volta: siamo in Italia, ci si potrà fidare?
Ma quest'idea invece naufragò per un motivo più banale: il sito esiste già.
Insomma, peccato. Fino ad ora sto sempre qua a scrivere su un blog invece di andare a lavorare in porsche cayenne.
Ma forse non è quello che m'interessa alla fine.
E poi so che la svolta è sempre là, ad un passo.
Tutti facciamo lo sbaglio di pensare che per svoltare c'è sempre tempo.
In realtà, senza rischiare di sembrare malaugurante, è chiaro che abbiamo un tempo limitato a nostra disposizione. Che potrebbe scadere anche oggi (pausa e tuono in lontananza).
Vi descriverò allora alcune delle idee che nella mia vita mi hanno portato sull'orlo di una svolta, ma che alla fine sono scomparse nel nulla, evaporate, come i sogni la mattina presto appena alzati. Così, a mo' di esempio per le generazioni future e posteriori.
Al mio collega Luca venne un giorno l'idea dei tapis-roulant collegati ad accumulatori. Poi gli spiegammo che nelle palestre i tapis-roulant vengono mossi già dall'energia elettrica. Allora estese l'idea ai tornelli della metropolitana, ai dancefloor delle discoteche, ai carrelli dei supermercati, a qualsiasi cosa spinta o ruotata dalle braccia umane. Ad un certo punto nelle nostre menti cominciò a materializzarsi l'idea di montagne d'energia immagazzinata in quel modo, intere batterie di lampadine alimentate da un criceto che corre all'infinito dentro una gabbia.
Poi abbandonammo l'idea. Troppo sbattimento, troppi mezzi necessari per realizzarla.
Mesi dopo scoprimmo che un'università degli Stati Uniti aveva brevettato il tapis-roulant che accumula energia elettrica (ma non andavano già a corrente?).
(probabilmente il disegno dei tornelli a corrente elettrica sta ancora su qualche lavagna nei meandri del mio ufficio)
Poi venne l'idea dell'identificatore di parcheggi, un sistema complicatissimo di satelliti, sensori, Internet e quant'altro che avrebbe permesso a chiunque di trovare un posto auto in men che non si dica nella città di Roma. Non si riusciva però a mettersi d'accordo sul sensore che avrebbe indicato un posto libero. E se un uccello ci cagava sopra? E se uno vedeva il parcheggio prima di te e ci si fiondava?
Mah. Troppo sbattimento ancora (mi sa che è quello che ci frega).
Allora partorimmo l'idea del sito internet che ti fa smettere di fumare. Come? Semplice: ti iscrivi, ed ogni giorno questo sito ti manda in automatico, sulla casella di posta, immagini di polmoni sezionati, radiografie di tumori, panoramiche su cimiteri irlandesi. Un deterrente unico, non c'è dubbio.
Ma funzionerebbe? Boh. Sì. No.
Ultima idea: il sito web per viaggiare gratis. Una specie di comunità: ognuno mette a disposizione una macchina, un motorino, un tandem, ed indica il percorso. Poi chi ha bisogno si aggrega. Unico dubbio, questa volta: siamo in Italia, ci si potrà fidare?
Ma quest'idea invece naufragò per un motivo più banale: il sito esiste già.
Insomma, peccato. Fino ad ora sto sempre qua a scrivere su un blog invece di andare a lavorare in porsche cayenne.
Ma forse non è quello che m'interessa alla fine.
E poi so che la svolta è sempre là, ad un passo.
martedì 16 giugno 2009
msg in my veins(14:10:00)
mi sveglio alle 5
ma questa è la domanda che mi perseguita:
tbc o tdv?
me la fa la donna dietro allo sportello
l'hostess al telecheck-in
il mio compagno di posto
l'assistente di volo
l'assistente di terra
il factotum dell'aereoporto di milano linate
il tassista che mi porta in giro per soli 50 euro
mia madre
la donna delle pulizie
ma prima della risposta
non so che significhi la domanda
in realtà volevo solo solo un po' di umanità
dal reparto risorse umane
per cui salgo ai piani alti
con un'ascensore che accelera come se fosse dentro l'empire state building
e vedo che da lì il panorama è vario
ci sono solo palazzi e il duomo perso nella nebbia
peccato io non possa rovesciare l'ufficio e far cadere la neve dal basso delle strade
ma in realtà volevo solo un po' d'amore
ed una palla di vetro per turisti con cui giocare
ma forse altri 19 anni non sono poi così tanti
e un bacio ha più sapore dopo tanto tempo
e allora assaggio il caffè
a me fa schifo
ma i miei colleghi dicono che è buono
e non so se quella luce blu in fondo ai loro occhi sia solo un riflesso
o il fatto che, mio dio, anche loro sono condannati
(questo lo pubblichiamo sul blog?)
mi sveglio alle 5
ma questa è la domanda che mi perseguita:
tbc o tdv?
me la fa la donna dietro allo sportello
l'hostess al telecheck-in
il mio compagno di posto
l'assistente di volo
l'assistente di terra
il factotum dell'aereoporto di milano linate
il tassista che mi porta in giro per soli 50 euro
mia madre
la donna delle pulizie
ma prima della risposta
non so che significhi la domanda
in realtà volevo solo solo un po' di umanità
dal reparto risorse umane
per cui salgo ai piani alti
con un'ascensore che accelera come se fosse dentro l'empire state building
e vedo che da lì il panorama è vario
ci sono solo palazzi e il duomo perso nella nebbia
peccato io non possa rovesciare l'ufficio e far cadere la neve dal basso delle strade
ma in realtà volevo solo un po' d'amore
ed una palla di vetro per turisti con cui giocare
ma forse altri 19 anni non sono poi così tanti
e un bacio ha più sapore dopo tanto tempo
e allora assaggio il caffè
a me fa schifo
ma i miei colleghi dicono che è buono
e non so se quella luce blu in fondo ai loro occhi sia solo un riflesso
o il fatto che, mio dio, anche loro sono condannati
(questo lo pubblichiamo sul blog?)
martedì 9 giugno 2009
Per tutti quelli che mi dicono che sono ingrassato:(12:25:00)
ma annatevene un po' affanculo!
ma annatevene un po' affanculo!
venerdì 5 giugno 2009
giornata tipo(15:51:00)
(questo lo pubblichiamo sul blog?)
Da tre giorni mi svegliavo con un mal di gola che mi torceva la periferia dell'anima. E sempre cinque minuti prima della radio. Quand'era iniziato tutto?
Me ne stavo lì, nel letto, sudato, nell'anticamera dei pensieri razionali, chiedendomi se era sabato, e quindi non dovevo andare al lavoro, oppure no, e potevo perciò cominciare a far vagare il cervello sul primo incontro del calendario di outlook.
Era sabato.
La notte precedente avevo sognato di viaggiare su un pullman che andava sempre più forte su una strada costiera piena di curve.
Il pullman era uscito di strada e io continuavo a pensare che l'autista andasse troppo forte.
Qualcosa doveva significare.
Non avevo programmi per la mattinata.
Ho preso le chiavi della macchina e sono andato al supermercato.
Mentre passavo vicino ad un campo di grano con dei tralicci dell'alta tensione qualcosa mi diceva che ci stessero controllando. Tutti. Tramite i tralicci dell'alta tensione. Ci obbligano a crescere, terminare la scuola, andare a lavorare, conoscere qualcuno in una chat, sposarsi, fare dei figli, invecchiare e morire.
Ma chi avrebbe potuto dimostrarlo, del resto quei tralicci sembrano tralicci e basta.
E poi ho preso parte al rimestio collettivo del supermercato.
E' come una danza muta.
Se conosci i passi è facile, altrimenti no.
Qualcuno ci controlla, nei supermercati. E' impossibile che non ci sia nessuno che controlli. Io non li vedo mai. Ma ci sono. Forse ci sono delle telecamere sul soffitto. No, è troppo alto. Devono essere da qualche parte, forse nel cestone delle magliette. Forse sono semplicemente annegate nel bancone dei surgelati.
Forse i laser che leggono i prezzi prendono anche le nostre impronte. E' per questo che ho messo i guanti. Non avranno le mie impronte. O forse le hanno già, dio mio non ricordo.
A quel punto mi è venuto in mente che avevo conosciuto una ragazza in chat la sera prima.
Ripensandoci non ho più capito se mi piacesse veramente o mi facesse ribrezzo, ma continuavo a parlarle perché era tardi e stavo scivolando lentamente nell'anticamera dei pensieri irrazionali. Le ho parlato di cose che non ho mai detto nemmeno a mia madre. Mi ha detto che se ci sposassimo vorrebbe fare dei figli con me.
Poi le ho chiesto di mandarmi una foto; l'ho aperta e c'era lei vicino ad un traliccio e del grano.
Uscendo dal supermercato ho ripensato ad una notte d'estate. Avevo quindici anni, mia cugina uscì dal buio e mi si avvicinò, curvò la testa vicino alla mia guancia e baciò un angolo della mia bocca. Probabilmente ha sussurrato anche qualcosa. Ma ora non so più se fosse vero o se fossero solo ricordi impiantati come quelli dei replicanti di un film.
Vorrei ritrovarla, chiederglielo.
Ma è sposata e aspetta un figlio.
Passo di nuovo con la macchina vicino al campo di grano, e abbasso il finestrino per guardare meglio qualcosa in lontananza. Però scatta il semaforo, ed uno dietro di me suona, allora riparto e la campagna scorre via.
(questo lo pubblichiamo sul blog?)
Da tre giorni mi svegliavo con un mal di gola che mi torceva la periferia dell'anima. E sempre cinque minuti prima della radio. Quand'era iniziato tutto?
Me ne stavo lì, nel letto, sudato, nell'anticamera dei pensieri razionali, chiedendomi se era sabato, e quindi non dovevo andare al lavoro, oppure no, e potevo perciò cominciare a far vagare il cervello sul primo incontro del calendario di outlook.
Era sabato.
La notte precedente avevo sognato di viaggiare su un pullman che andava sempre più forte su una strada costiera piena di curve.
Il pullman era uscito di strada e io continuavo a pensare che l'autista andasse troppo forte.
Qualcosa doveva significare.
Non avevo programmi per la mattinata.
Ho preso le chiavi della macchina e sono andato al supermercato.
Mentre passavo vicino ad un campo di grano con dei tralicci dell'alta tensione qualcosa mi diceva che ci stessero controllando. Tutti. Tramite i tralicci dell'alta tensione. Ci obbligano a crescere, terminare la scuola, andare a lavorare, conoscere qualcuno in una chat, sposarsi, fare dei figli, invecchiare e morire.
Ma chi avrebbe potuto dimostrarlo, del resto quei tralicci sembrano tralicci e basta.
E poi ho preso parte al rimestio collettivo del supermercato.
E' come una danza muta.
Se conosci i passi è facile, altrimenti no.
Qualcuno ci controlla, nei supermercati. E' impossibile che non ci sia nessuno che controlli. Io non li vedo mai. Ma ci sono. Forse ci sono delle telecamere sul soffitto. No, è troppo alto. Devono essere da qualche parte, forse nel cestone delle magliette. Forse sono semplicemente annegate nel bancone dei surgelati.
Forse i laser che leggono i prezzi prendono anche le nostre impronte. E' per questo che ho messo i guanti. Non avranno le mie impronte. O forse le hanno già, dio mio non ricordo.
A quel punto mi è venuto in mente che avevo conosciuto una ragazza in chat la sera prima.
Ripensandoci non ho più capito se mi piacesse veramente o mi facesse ribrezzo, ma continuavo a parlarle perché era tardi e stavo scivolando lentamente nell'anticamera dei pensieri irrazionali. Le ho parlato di cose che non ho mai detto nemmeno a mia madre. Mi ha detto che se ci sposassimo vorrebbe fare dei figli con me.
Poi le ho chiesto di mandarmi una foto; l'ho aperta e c'era lei vicino ad un traliccio e del grano.
Uscendo dal supermercato ho ripensato ad una notte d'estate. Avevo quindici anni, mia cugina uscì dal buio e mi si avvicinò, curvò la testa vicino alla mia guancia e baciò un angolo della mia bocca. Probabilmente ha sussurrato anche qualcosa. Ma ora non so più se fosse vero o se fossero solo ricordi impiantati come quelli dei replicanti di un film.
Vorrei ritrovarla, chiederglielo.
Ma è sposata e aspetta un figlio.
Passo di nuovo con la macchina vicino al campo di grano, e abbasso il finestrino per guardare meglio qualcosa in lontananza. Però scatta il semaforo, ed uno dietro di me suona, allora riparto e la campagna scorre via.
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